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Il lavoro è il crocevia delle tre grandi trasformazioni in atto nella nostra società e nel nostro sistema produttivo: digitale, climatico-ambientale e demografico. I mutamenti che sono da queste determinati hanno un impatto dirompente sul lavoro e, al tempo stesso, ne sfidano profondamente il senso. La tecnologia, in particolare, pur ponendo quesiti – anche di natura etica – può e deve essere considerata una formidabile alleata nell’umanizzazione del lavoro.
Sotto questo profilo, le parole di papa Francesco, le sue Esortazioni e le più recenti Encicliche rappresentano una bussola efficace e un’incitazione concreta a costruire un “nuovo pensiero” del lavoro, non ideologico e finalmente post-novecentesco, che prevalga sulla narrazione negativa del progresso e del lavoro stesso.
Riportandolo al centro del contributo sociale della Chiesa, Francesco definisce il lavoro “libero, creativo, partecipativo e solidale” (EG, n. 192). Questo contributo è uno dei tasselli fondamentali per la costituzione di quel “nuovo pensiero” che distrugga le retoriche obsolete e ideologiche sul lavoro, sul mercato e sulla globalizzazione e che, al contrario, offra una visione dinamica, non tecnofoba, orientata all’innovazione sociale.
Per costruire quella che egli chiama “una diversa narrazione economica”, dobbiamo essere pienamente consapevoli che oggi si schiudono di fronte a noi enormi opportunità di vivere in un ambiente più sostenibile, di lavorare in modo più sicuro, meno faticoso e stressante, e in un sistema economico e produttivo più efficiente. Dobbiamo, invece, contrastare il racconto ansiogeno di un futuro distopico che fa presa sulle persone meno consapevoli. Avremmo dovuto fare i conti da un pezzo con la rivoluzione 4.0, con le opportunità della globalizzazione e del mondo aperto che vanno orientate allo sviluppo umano integrale. Dobbiamo, tuttavia fare i conti con un cambiamento con velocità e profondità inedite.
La tecnologia ha sempre liberato l’uomo da alcune incombenze e occupazioni per concentrarlo su altre. Questo processo di innovazione non avviene in modo neutrale, ma è guidato da coloro che anticipano il cambiamento. Questi, grazie a una visione più orientata al lungo periodo, sanno progettare ciò che avverrà rendendolo quanto più simile a quello che si desidera. La tecnologia non va confusa con il cambiamento di cui è solo un abilitatore, un acceleratore.
Secondo i report del World Economic Forum sul futuro del lavoro, il 65% dei bambini che inizia la scuola farà un lavoro che oggi non esiste e di cui non conosciamo neanche il nome. Il cambiamento nel mondo del lavoro è così rapido che nel tempo in cui i bambini di oggi si formeranno, la metà degli attuali impieghi sarà automatizzata. Questo significa che se da una parte certi lavori non avranno più senso di esistere, dall’altra si faranno spazio nuove occupazioni. Si tratta di mansioni e incarichi che richiederanno organizzazioni, tecnologie e soprattutto competenze nuove e sempre aggiornate. Anche per questo il diritto soggettivo all’istruzione e alla formazione adatta alle persone e di qualità, per tutta la vita, è un diritto al futuro.
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La sfida è lanciata, ma partirà in vantaggio chi anticiperà il cambiamento cercando di indirizzarne la traiettoria con politiche lungimiranti e progettando ecosistemi intelligenti. Il punto è che la rivoluzione digitale è in grado di offrire grandi opportunità alla crescita economica e allo sviluppo dell’essere umano e papa Francesco ne è pienamente cosciente: il futuro si decide e si pianifica grazie alla capacità di scrivere su un foglio bianco, di individuare e sperimentare soluzioni inedite. Ricordiamo sempre che sono i Paesi che hanno investito di più in tecnologia e formazione ad avere tassi di disoccupazione più bassi: Germania, Corea del Sud e Giappone. Inoltre, nei primi due casi i lavoratori hanno salari più alti e svolgono mansioni a più alto ingaggio cognitivo e maggiore valore aggiunto.
Anche la tecnologia apparentemente più disumanizzante in realtà ci consente con ancora più determinazione e convinzione di valorizzare l’unicità degli esseri umani.
La tecnologia di per sé “abbassa la soglia”, ci permette cose un tempo più complicate – come l’accesso diffuso e istantaneo all’informazione –, avvicina le persone e ci mette in condizione di ridurre il nostro impegno in compiti ripetitivi e faticosi, in antitesi con la possibilità di sentirci realizzati. Eppure l’abbassamento di questa soglia non è oggettivo. Occorre dargli un senso: servono i nuovi progettisti, non solo per le singole invenzioni, ma per l’innovazione di sistema, che disegnino uno spazio di vita la cui carica umana si sviluppi in quantità e qualità.
In questo senso parlo di un’esperienza, la nostra, che può diventare a “umanità aumentata”: più autonoma, libera, creativa, più concentrata e sviluppata sugli aspetti unici del nostro essere donne e uomini.
Per questo la sfida del lavoro avrà bisogno di nuove architetture economiche, sociali, politiche e produttive e per questo avremo bisogno di nuovi, tanti e coraggiosi “architetti del lavoro” capaci di calzare tecnologie, organizzazione e competenze in prospettiva umanocentrica in ogni dimensione del lavoro.
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Dunque, dobbiamo ripudiare per un attimo il ricatto del breve termine, guardare molto avanti, cogliere i megatrend e il loro impatto sull’economia e sul “mercato del lavoro” e intraprendere politiche che accompagnino la transizione tecnologica per massimizzarne i benefici a vantaggio di tutti e senza “scarto”: individuare le competenze del futuro, ripensare tempi e spazi di lavoro, immaginare un diverso sistema educativo e un nuovo sistema di rappresentanza e dei diritti.
Un’attenzione particolare andrà posta sulle persone che attualmente svolgono mansioni ripetitive o routinarie (in maniera più accentuata quelle impiegatizie), che non richiedono grandi competenze o professionalità. Questi sono i posti di lavoro a più alto rischio di sostituzione con macchine, robot o applicazioni della tecnologia dell’informazione. Queste situazioni vanno gestite con lungimiranza prima dell’esplosione delle crisi sociali, giocando d’anticipo e con programmi formativi su ampia scala e politiche attive finalmente efficaci, per accompagnare le persone più fragili senza lasciarle indietro.
Accorciamo il lasso temporale intercorrente fra l’inevitabile scomparsa di alcuni lavori e la nascita di altri a maggiore valore aggiunto, provando a garantire un effetto netto finale positivo che intrecci le nuove dinamiche dei flussi e dei territori, a partire dalle aree interne (nel nostro Paese e nel mondo) e consentendone il collegamento con il mondo dell’innovazione. Le macchine, infatti, possono produrre risultati positivi per tutti – e lo smart working, di cui scriverò più avanti, è un esempio di un modello organizzativo che crea una combinazione vincente tra tecnologia e uomo – a patto che la progettazione sia un lavoro di squadra che liberi i lavoratori dalle gabbie delle mansioni, consentendo loro di esaltarne l’autonomia, la creatività e la responsabilità.
Un’altra sfida aperta è il modello della “democrazia industriale” che è stato seguito con successo dalla Germania e dai Paesi scandinavi, ma molto osteggiato in Italia. È proprio su questo terreno che è urgente un ripensamento e un cambio di indirizzo.
Papa Francesco ha scritto in Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”, specificando che è necessario “privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti”.
In fondo non c’è nulla come la rivoluzione digitale, con i profondi mutamenti che essa innesca nel rapporto tecnologia/uomo/società/ambiente, a dimostrare che il Santo Padre ha ragione: il futuro è conseguenza del presente, nulla è ipotecato, il catastrofismo è la cifra dei rassegnati, mentre per noi la sfida è aperta e da accettare.
È da accettare anche per gli oltre 200 milioni di disoccupati nel mondo, per i quali il lavoro è un miraggio, e per i lavoratori poveri o schiavi e per coloro per i quali il lavoro è solo sudore, fatica, lacrime.
Immaginando il mondo dopo la pandemia, da un lato abbiamo paura che tutta l’impalcatura della civiltà si riveli un castello di carta, abbiamo paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi senza lasciarsi dietro un cambiamento. E per questo abbiamo imparato a contare i giorni. Dobbiamo acquistare un cuore saggio. Non permettere che tutta questa sofferenza trascorra invano. Dopo anni in cui è andata smarrita la dimensione collettiva del lavoro, ora la conoscenza e la partecipazione, insite nei nuovi paradigmi tecnologici e nei nuovi modelli organizzativi, possono far ritrovare una dimensione alta e identitaria ai lavoratori.
Il lavoro è rimasto senza parole, ha bisogno di un nuovo alfabeto, dobbiamo continuare a chiedere il lavoro, a generarlo, a stimarlo, ad amarlo. Molte delle preghiere più belle dei nostri genitori e nonni erano preghiere del lavoro, imparate e recitate prima, dopo e durante il lavoro. i cui doni sono frutto della terra e del lavoro della donna e dell’uomo. I campi, il mare, le fabbriche sono sempre stati “altari” dai quali si sono alzate preghiere belle e pure, che Dio ha colto e raccolto.
Per questo serve accettare la sfida del lavoro a umanità aumentata, perché il lavoro non ci salvi solo dalla noia, dal vizio e dal bisogno ma perché il lavoro per tutti sia crescita, mobilità sociale vera, fioritura delle persone, realizzazione, costruzione di legami fraterni e solidali, partecipazione comunitaria.
Attivista, esperto di innovazione, lavoro e industria, è il Coordinatore Nazionale di Base Italia. Segretario Generale dei Metalmeccanici Cisl dal 2014 al 2020, è considerato il “padre” del diritto soggettivo alla formazione. Nel corso del 2016 collabora alla costruzione del piano industria 4.0. Dal 2018 è membro della Commissione Esperti del Mise per una strategia nazionale Italiana sull’Intelligenza Artificiale. Nello stesso anno insieme all’allora Ministro dello Sviluppo Economico scrive “Il piano industriale per l’Italia delle competenze” e con Massimo Chiriatti “il Manifesto Blockchain Italia per un nuovo bene pubblico digitale” pubblicato su Il Sole 24 Ore. Nel 2020 promuove InnovAction la rete italiana dei centri di eccellenza di innovazione e trasferimento tecnologico, inoltre collabora con il Centro di Formazione Ricerca e ingegneria elettronica.