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L’Europa non è un’appendice geografica, né un incidente della storia, ma uno straordinario progetto politico, nato sulle ceneri di due guerre mondiali, volto a riconciliare, a fare la pace e condividere valori, risorse e istituzioni per il progresso comune. Frutto dell’amicizia di tre leader lungimiranti – Adenauer, De Gasperi e Schuman – che condividevano riferimenti culturali, una visione basata sulla centralità della persona e l’obiettivo di cancellare la guerra dall’orizzonte del continente. Questo processo si è sviluppato per fasi successive, dai sei Stati fondatori ai 27 attuali, con quasi 500 milioni di cittadini. Con al centro i valori della libertà, della dignità e della solidarietà, dall’iniziale e insuperato manifesto politico – la Dichiarazione Schuman del 1950 – si è fatto attraverso sforzi creativi e realizzazioni concrete. Dalla Comunità del carbone e dell’acciaio alla politica agricola comune; dalla libera circolazione dei lavoratori, degli studenti e delle persone in un continente ormai senza più frontiere interne alla realtà del Mercato comune, che ha appena celebrato i suoi trent’anni, e poi successivamente di una moneta comune, l’Euro, diventata rapidamente la seconda valuta degli scambi e delle riserve mondiali.
Il continente ha vissuto una trasformazione profonda e raggiunto un livello di benessere senza precedenti, primo esportatore del mondo e secondo destinatario di investimenti esteri diretti. Sviluppando allo stesso tempo la più avanzata legislazione sociale a livello mondiale e una concreta azione di convergenza sociale e dei propri territori, con le cosiddette politiche di coesione. L’Europa, che ha un bilancio comune pari solo all’1% del Pil europeo e a poco più del 2% della spesa pubblica di tutti gli Stati membri, si è costruita soprattutto come una potenza normativa. Verso l’interno prima di tutto, creando standard comuni e di protezione sociale e diritti delle persone ma anche di incentivi di qualità e di innovazione dei prodotti e delle proprie imprese (oltre il 55% delle legislazioni nazionali sono oggi basate sulla legislazione europea). E poi anche verso l’esterno, pur rimanendo le politiche estere un dominio tuttora riservato delle capitali, con non poche contradizioni e conflitti di interessi tra gli Stati membri. Così attraverso le sue politiche di cooperazione allo sviluppo: l’Europa nel suo insieme è oggi il primo donatore mondiale, con il 46% degli aiuti. Nel campo del commercio poi ha promosso un sistema di accordi internazionali con standard sempre più elevati nella protezione dei consumatori, nel campo sociale e ambientale, influenzando così in modo determinate l’intero sistema di economie aperte, che hanno consentito l’uscita dalla povertà di oltre un miliardo di persone nel mondo.
Neppure la grave rottura della Brexit e poi la devastazione della pandemia del Covid hanno fatto deragliare questo progetto. Anzi, non solo si è rafforzata l’unità interna, ma anche la capacità di esprimere prima risposte inedite di “cura” (i vaccini, i generosi strumenti di aiuto e sostegno economico e finanziario) e poi un inedito programma di ripresa e resilienza – il Next Generation Eu – con l’emissione di titoli di debito comune, che hanno raddoppiato le disponibilità finanziarie. Un programma che si configura come una accelerazione strutturale della trasformazione ecologica, digitale e sostenibile, la nuova frontiera su cui l’Europa investe oggi le sue priorità politiche. Conquistando una leadership mondiale su questa frontiera cruciale per il mondo di domani.
Il continente ha vissuto una trasformazione profonda e raggiunto un livello di benessere senza precedenti, primo esportatore del mondo e secondo destinatario di investimenti esteri diretti. Sviluppando allo stesso tempo la più avanzata legislazione sociale a livello mondiale e una concreta azione di convergenza sociale e dei propri territori, con le cosiddette politiche di coesione. L’Europa, che ha un bilancio comune pari solo all’1% del Pil europeo e a poco più del 2% della spesa pubblica di tutti gli Stati membri, si è costruita soprattutto come una potenza normativa. Verso l’interno prima di tutto, creando standard comuni e di protezione sociale e diritti delle persone ma anche di incentivi di qualità e di innovazione dei prodotti e delle proprie imprese (oltre il 55% delle legislazioni nazionali sono oggi basate sulla legislazione europea). E poi anche verso l’esterno, pur rimanendo le politiche estere un dominio tuttora riservato delle capitali, con non poche contradizioni e conflitti di interessi tra gli Stati membri. Così attraverso le sue politiche di cooperazione allo sviluppo: l’Europa nel suo insieme è oggi il primo donatore mondiale, con il 46% degli aiuti. Nel campo del commercio poi ha promosso un sistema di accordi internazionali con standard sempre più elevati nella protezione dei consumatori, nel campo sociale e ambientale, influenzando così in modo determinate l’intero sistema di economie aperte, che hanno consentito l’uscita dalla povertà di oltre un miliardo di persone nel mondo.
La crisi generata dalla devastante guerra aperta dalla Russia in Ucraina ha spinto ad ulteriori sforzi comuni nel campo della autonomia energetica e dell’uscita dalle fonti fossili e aperto il campo di nuove sfide per l’autonomia strategica industriale e delle materie prime, anche se la capacità di risposta ha dimostrato non poche incrinature e divisioni ed una fragile capacità geopolitica strategica, oltreché lentezze laddove si toccavano sensibili interessi nazionali.
A questo straordinario e tuttora vincente progetto politico, che procede da ormai 70 anni, non mancano certo i numerosi punti critici e di frizione interna, per esempio sui valori fondanti delle nostre democrazie liberali e sullo stato di diritto, per evitare lo scivolamento verso nuove forme di autocrazie o “democrature”, o ancora sulla riforma istituzionale del complesso sistema dell’Unione, cosi come su diverse aree politiche cruciali.
Ma il progetto europeo continua ad essere ciò che è stato sin dalle sue origini: un vincolo al quale liberamente gli Stati e i popoli si legano; una protezione eguale per tutti; una opportunità di pace e progresso, che con evidenza attrae altri popoli alle frontiere dell’Unione.
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Si possano individuare quattro aree di sfide critiche per gli anni che vengono.
La sfida della trasformazione strutturale delle nostre economie, imprese, sistemi di welfare, città, trasporti, formazione, produzione, consumo, ecc. per costruire società più sicure, sostenibili e capaci di mantenere coesione e adeguatezza del proprio modello sociale e di competitività sostenibile. Una sfida ad evitare il ritorno del protezionismo nel nuovo confronto globale tra blocchi economici. Una sfida di riforma della governance economica, capace di garantire stabilità e solidità delle finanze pubbliche, ma anche di finanziare la necessità enorme di beni comuni, con fondi sia pubblici che privati (nei soli campi energetico e digitale si parla di almeno 5,3 trilioni di euro da oggi al 2050, cifra equivalente a quasi tre volte il Pil attuale dell’Italia…)
Poi c’è la sfida dell’immigrazione, sulla quale continuiamo ad essere molto divisi e su cui prevalgono soluzioni sempre più securitarie, che con tutta evidenza non funzionano. Non si possono eludere i crescenti flussi di profughi, che fuggono oggi da guerre e persecuzioni, ma domani in misura ancora maggiore dalle conseguenze della crisi climatica, accesso alle risorse idriche e alimentari in primis. Dieci anni dopo la tragedia di Lampedusa, siamo ancora lontani dal convenire su soluzioni di governo complessivo di questo fenomeno storico, peraltro anche legato all’invecchiamento europeo, adottando quei principi da sempre perno del successo europeo. E soprattutto manca la logica di una compassione ragionata, che è la vera anima dell’Europa, come abbiamo ben dimostrato di fronte ai milioni di profughi dall’Ucraina.
Poi c’è la sfida dell’ormai evidente passaggio dal principio della cooperazione competitiva, su cui si è costruita l’architettura internazionale della seconda parte del secolo scorso, ad una realtà di crescente conflittualità distruttiva. Si rende urgente una nuova capacità geopolitica, che superi il diritto di veto in politica estera, che sia capace di pensare la guerra e il conseguente ruolo dell’Europa anche come potenza militare, con l’antico tema non risolto dell’Unione della Difesa; una nuova capacità che riveda in una prospettiva di partenariati per la sicurezza e il progresso sostenibile le proprie politiche di vicinato e con il cosiddetto Sud globale, Africa in primis. E che investa con decisione sui nuovi strumenti della diplomazia culturale e climatica, su cui l’Europa ha indubbiamente stoffa e capacità comprovate.
La sfida infine della riforma del proprio sistema istituzionale, a partire dall’abolizione del potere di veto in materie importanti (politica estera, politiche fiscali) e del rafforzamento della propria dimensione democratica, anche con lo sviluppo di stabili forme di democrazia partecipativa che, integrando la democrazia rappresentativa (i Parlamenti) rafforzi il senso di appartenenza e la condivisione delle politiche. Aveva fatto ben sperare la riuscita Conferenza sul futuro dell’Europa, realizzata con ampia partecipazione nonostante la pandemia. Peccato che le sue ambiziose e ricche conclusioni, anche in tema di proposte per la Riforma dei Trattati, siano state celebrate da tutti ma poi messe sostanzialmente nel cassetto. Speriamo sia solo per ora e si possano rilanciare con le elezioni europee del 2024.
L’Europa si è fatta attraverso le crisi e quando ha saputo sviluppare la sua vocazione planetaria, producendo speranza al suo interno e all’esterno, perché ha investito in politiche di pace, di sviluppo e di promozione umana. Con ragione e passione, con visione e pragmatica operosità.
Per approfondire
60 anni, giornalista, politologo ed economista, esperto di Terzo settore, Cooperazione internazionale, Africa, SDGs e Politiche europee. Già Presidente della FOCSIV, tra i fondatori di Retinopera e già Presidente Consiglio Nazionale ACLI. Consigliere del CESE, Istituzione dell’Unione Europea, dal 2002, ne è stato presidente dal 2018 al 2020. Ora si occupa di dialogo civile, diplomazia culturale, monitoraggio del Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) e Semestre europeo.